CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME
CATTEDRALE DI TERNI
Mons. Piemontese:
“Nei momenti critici dell’esistenza affiorano le domande cruciali, che sono alla base della filosofia della vita…
E la risposta non può essere quella dettata dalla paura o dalla contingenza di una pandemia, ma è quella che scaturisce dalla lucidità di una riflessione non distorta dalle distrazioni consumistiche e dall’offuscamento mentale, una risposta che fa riferimento ad una storia di amore totale che Gesù di Nazareth ha vissuto e testimoniato nei confronti di Dio Padre, dell’umanità intera”
Con la celebrazione della Domenica delle Palme, che ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, hanno avuto inizio le liturgie pasquali della Settimana Santa, segnate dalla pandemia da Covid-19 che ha causato migliaia di morti.
La celebrazione nella Cattedrale di Terni, senza il concorso di popolo, presieduta dal vescovo Giuseppe Piemontese, è stata introdotta con il rito della benedizione dei rami d’ulivo e la lettura del brano dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, cui è seguita la processione dei sacerdoti concelebranti, don Alessandro Rossini parroco della Cattedrale, don Carlo Romani, padre Mario Lendini cappellano del cimitero di Terni, don Roberto Cherubini parroco di Santa Croce, che hanno percorso la navata centrale verso l’altare maggiore al canto dell’osanna.
Il rito è proseguito con la lettura della Passione di Gesù e la celebrazione eucaristica.
L’OMELIA DEL VESCOVO
“Iniziamo insieme una Settimana particolare per la Chiesa; è chiamata santa per il mistero che si ricorda e si rinnova: la Pasqua di Nostro Signore Gesù Cristo, il suo esodo, fatto di passione, morte e risurrezione.
Due momenti, in questa celebrazione delle Palme si intrecciano: mistero di gloria e di passione. Infatti dopo la commemorazione dell’ingresso in Gerusalemme, abbiamo proclamato il racconto della passione di Gesù secondo l’evangelista Matteo. E’ lo stesso mistero della nostra esistenza, strettamente intrecciato, sull’esempio di Gesù, dalla sofferenza, dalla passione e dalla morte come esperienza di amore, che viene trasformata dalla risurrezione.
La condizione particolare in cui la nostra nazione, anzi gran parte del mondo, si trova quest’anno per l’epidemia di Coronavirus e l’impossibilità di essere presenti fisicamente in chiesa alla celebrazione dei santi misteri della nostra Redenzione, che si rinnovano nei giorni santi della settimana santa, ci aiuta ad attrezzare il nostro mondo interiore per rapportarci con più profonda spiritualità a Cristo che comunque rinnova per noi il mistero pasquale.
Siamo passati da una disponibilità di celebrazioni ad ogni ora e per ogni gusto alla condizione di chi non può fare altro che partecipare nel desiderio o attraverso i media ai santi riti che ci mettono in contatto con Gesù e con la Chiesa, comunità viva.
A cominciare da questa giornata, domenica delle palme, spiritualmente siamo parte del corteo dei discepoli e della folla che accompagna Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme, cantando l’osanna a Gesù e disponendoci a seguirlo nella sua passione e morte per essere parte della sua risurrezione. In questi giorni molti di noi si sono uniti dalle finestre delle case al coro virtuale fatto di condomini e di concittadini per esprimere col canto la speranza e la gratitudine per chi è negli ospedali. Tutti noi, credenti, discepoli di Gesù, impediti di essere riuniti nelle nostre chiese per partecipare ai santi misteri, possiamo unirci spiritualmente con la preghiera, col canto, con l’ascolto attento, dinamico e dialogante della Parola della Liturgia di questi giorni, particolarmente ricca.
Nessuno potrà consolarci per la privazione dell’Eucarestia, ma possiamo ugualmente far risuonare nella nostra casa-chiesa domestica la Parola di Dio con la proclamazione “drammatizzata” da parte di tutti, adulti e ragazzi, delle letture proposte dalla Liturgia per questa giornata. La Parola che risuona nella casa sarà più forte ed efficace del Coronavirus, che si aggira minaccioso intorno a noi.
Il racconto, fatto dall’evangelista Matteo, dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, dalla tonalità festosa ed osannante, si conclude con questa domanda:
“Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».
Nel volgere delle ore di questi giorni, miste di silenzio, di noia, di ozio e di relazioni virtuali, il tutto avvolto dalla sensazione di angustia, generata dalla minaccia oscura del Coronavirus, anche noi vogliamo interrogarci «Chi è costui».
Nei momenti critici dell’esistenza personale e comunitaria affiorano le domande cruciali, che sono alla base della filosofia della nostra vita.
Per un cristiano, come lo fu per gli apostoli e i discepoli, questa è “la domanda”: “chi è Gesù”.
E la risposta non può essere quella dettata dalla paura o dalla contingenza di una pandemia dallo svolgimento drammatico per la presenza di migliaia di morti e per l’esito incerto e imprevedibile, ma è quella che scaturisce dalla lucidità di una riflessione non distorta dalle distrazioni consumistiche e dall’offuscamento mentale riverso su uno stato di benessere unicamente materiale e di piaceri mondani. Una risposta che lucidamente fa riferimento ad una storia di amore, di amore totale che Gesù di Nazareth ha vissuto e testimoniato nei confronti di Dio Padre, dell’umanità intera e di ciascuno di noi.
La proclamazione delle letture della messa e in particolare del racconto della Passione di Gesù secondo Matteo concorrono e delinearci la figura di Gesù, così come è stata preannunziata nell’Antico Testamento (Prima lettura e Vangelo), come è stata interpretata da Paolo (Seconda lettura).
Matteo ci accompagna passo dopo passo dietro a Gesù che vive il mistero dell’iniquità dalla notte del tradimento, del rifiuto da parte dei capi e del popolo, dell’abbandono dei suoi discepoli, fino alla crocifissione e alla morte. Ma che sperimenta anche il conforto di Maria, delle donne, del Cireneo, di Giuseppe d’Arimatea, di Nicodemo e del Padre che lo innalza nell’alto della croce e della risurrezione
Attraverso questa santa celebrazione, anche noi, con l’aiuto dello Spirito, insieme a tutta la Chiesa, vogliamo professare come la folla di Gerusalemme: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea», e infine come il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù ai piedi della croce: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Il salmo responsoriale, che abbiamo proclamato, si intitola Canto dell’isolamento ed è risonanza della situazione e della riflessione di questi giorni di isolamento.
E’ il canto di chi, per un motivo o un altro, cade in disgrazia di fronte agli altri: di chi è colpito dalla malattia, dalla sofferenza che sembra senza sbocco, dalla morte dei cari, dalla perdita del lavoro, da una prospettiva di futuro economico incerto e di precarietà, di relazioni interpersonali diverse da quelle passate.
Un canto doloroso che diventa uno sfogo per una situazione che, nella sua ineluttabilità, bisogna accettare. E’ il canto di Gesù tradito, umiliato e abbandonato.
Ma anche il canto della comunità dei discepoli, colpita da tragedie e ora dalla epidemia, dalla paura del futuro.
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.
Ma anche la preghiera che canta la speranza di una situazione transitoria che è nelle mani di Dio, che ha l’ultima parola. “Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto”.
In questa preghiera sono presenti i fratelli. “Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea”, richiamo all’assemblea che si ricostituirà per sperimentare l’unità di popolo, per lodare il Signore. Fa riferimento alla discendenza di Giacobbe, alla comunità dei discepoli, alla chiesa salvata dalla passione, morte e risurrezione del Signore.
La settimana santa, la Pasqua del Signore, la primavera che ci avvolge con i fiori e i colori, la generosità di tanti uomini e donne, la fede e l’amore per il Signore di migliaia di fratelli, i santi misteri che ovunque nel mondo, nelle chiese, nelle case celebriamo, ci annunciano la speranza che il mondo cambierà, gli uomini saranno salvati, un tempo nuovo di bellezza e di amore tornerà.
Perché Gesù è morto ed è risorto… per noi.
Quest’anno non vi sarà la distribuzione né lo scambio dei rami di ulivo.
Solo un ramo uscirà dalla Chiesa, portato misticamente dallo Spirito nelle vostre case, come uscì dall’arca di Noè quale premessa e segno di speranza perché l’arcobaleno tornerà a ristabilire l’alleanza di Dio con l’umanità”.