Papa Francesco e il Serafico: l’abbraccio che ha segnato un’epoca
Papa Francesco e il Serafico: l’abbraccio che ha segnato un’epoca

Papa Francesco e il Serafico: l’abbraccio che ha segnato un’epoca

Nel giorno della sua morte, il Serafico ricorda la visita che diede inizio a un legame profondo tra Papa Francesco e i suoi ragazzi con disabilità: un gesto che ha inaugurato un magistero sulla fragilità e mostrato una Chiesa capace di commuoversi e prendersi cura 

 

Quando Papa Francesco entrò nella cappella del Serafico non si limitò a benedire.

Abbracciò, accarezzò, ascoltò.

Quel giorno – era il 4 ottobre del 2013 – mostrò al mondo la Chiesa che aveva in mente: una Chiesa inginocchiata davanti alle piaghe della carne e non davanti al potere.

 

Quella visita, nata nel primo pellegrinaggio del suo pontificato sulle orme di San Francesco, segnò anche l’inizio di un rapporto speciale tra il Pontefice e i ragazzi del Serafico, rafforzatosi poi nel corso degli anni durante il Giubileo del 2016 ed Economy of Francesco.

Un legame che ha accompagnato il cammino di un magistero incentrato sul valore della fragilità del prendersi cura come forma alta di giustizia evangelica.

 

Francesco, infatti, scelse di iniziare il suo pellegrinaggio ad Assisi da un luogo di cura. Varcò il cancello dell’Istituto Serafico e passò oltre ogni formalità.

Senza fretta, si fermò con ciascuno dei bambini e ragazzi con disabilità gravi e gravissime accolte nell’Istituto.

Rivolse a ognuno un sorriso o una carezza.

E ripeteva, con voce bassa ma ferma: “I sono commosso”.

Erano i primi mesi del suo pontificato, ma già in quel gesto era chiara la direzione: voleva una Chiesa capace di lasciarsi toccare.

Perché  commuoversi – come ha sempre testimoniato – significa riconoscere l’altro nel cuore e riconoscere Cristo nei più fragili.

Non lesse il discorso preparato, parlò a braccio proprio come si parla in famiglia, e indicò nei corpi feriti dei ragazzi “le piaghe di Gesù”; disse che quelle piaghe “devono essere ascoltate” e aggiunse “non come notizie da prima pagina, destinate a durare pochi giorni: devono essere ascoltate da chi si dice cristiano, come parte viva del Vangelo”. 

 

Al termine dell’incontro – non una visita caritatevole ma un’espressione concreta di teologia incarnata –  rivolgendosi alla presidente del Serafico disse semplicemente: “Io oggi sono stato baciato da Dio”.

 

“Quella visita non è stata un ricordo da conservare ma è diventata una responsabilità ” racconta Francesca Di Maolo, presidente del Serafico di Assisi. “Papa Francesco– ha aggiunto – ha indicato con chiarezza dove dobbiamo guardare se vogliamo davvero seguire il Vangelo: verso chi è fragile, invisibile, dimenticato”.

Il Serafico, fondato nel 1871 dal beato Ludovico da Casoria, è da sempre un luogo in cui la fragilità viene accolta con competenza e umanità.

Ma con quella visita Francesco ne ha fatto anche un luogo simbolico, un punto da cui rileggere la missione stessa della Chiesa. “Non cercava gesti eclatanti – continua Di Maolo – ma ha semplicemente mostrato cosa vuol dire stare accanto. Il suo modo di guardare i ragazzi, di farsi toccare, di fermarsi ad ascoltare le famiglie: ha dato corpo a un’idea di Chiesa che deve ripartire dagli esclusi”. 

 

Nel giorno della sua morte, il Serafico non restituisce un’icona da commemorare, ma un messaggio ancora vivo: in tempi in cui il valore delle persone viene spesso misurato sulla base della produttività o dell’efficienza,

Papa Francesco ha rimesso al centro chi non ha voce, chi ha bisogno di essere semplicemente accolto.

E il suo passaggio al Serafico ha tracciato una linea chiara ricordando che il Vangelo si misura sulla capacità di riconoscere e custodire la dignità di ogni persona soprattutto quando è fragile.

 

Francesca Siciliano

Ufficio Stampa Istituto Serafico

 

 

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