RARE SIBLING: IL 41% RITIENE DI ESSERE TRATTATO EQUAMENTE DAI GENITORI, MA IL 35% HA COMUNQUE SENTIMENTI DI COLPA E RIBELLIONE NEI LORO CONFRONTI

 

Migliore il rapporto con i fratelli malati, gli atteggiamenti sono per lo più di aiuto e protezione. I sibling si sentono più liberi di esprimere le proprie emozioni con i fratelli che con mamma e papà

 

Roma, 21 novembre 2019 –  La survey condotta da Osservatorio Malattie Rare nell’ambito del Progetto Rare Sibling, realizzato con il contributo non condizionato di Pfizer, scatta la prima fotografia dei fratelli e delle sorelle di persone affette da una malattia rara nel nostro paese. I risultati, analizzati con la supervisione della Dottoressa Laura Gentile, psicologa e psicoterapeuta, mostrano un mondo tutto da scoprire e caratterizzato da sentimenti talvolta ambivalenti e da una percezione differente della realtà tra figli e genitori.

Il questionario online, strutturato in due formulari diversi – uno per i sibling e uno per i genitori – è rimasto aperto per 7 mesi ed ha raccolto le risposte di 83 ‘rare sibling’ e di 126 genitori, con una netta prevalenza del genere femminile. Le sorelle rappresentano infatti il 73,5% delle risposte, e le madri addirittura l’85%, a conferma che l’accudimento – di un fratello o di un figlio – è un ruolo rivestito soprattutto dalle donne, anche in giovane età, visto che la metà dei sibling che ha risposto ha meno di 30 anni.

Dalla survey emerge che l’impatto della malattia rara è stato significativamente percepito come responsabile di grandi cambiamenti nella vita e nell’organizzazione familiare, sia dai sibling (per il 70%) che dai genitori (87,3%) ma tra i due gruppi ci sono percezioni differenti, per circa il 30% dei siblings l’elemento più significativo è relativo alla diminuzione del tempo disponibile dei genitori, mentre per i genitori a pesare di più è la riorganizzazione familiare e delle relazioni. La condizione mette a dura prova tutto il nucleo familiare, compresi i genitori che risentono anche dei cambiamenti nell’aspetto lavorativo, soprattutto a fronte del peggioramento della condizione economica o della perdita/rinuncia al lavoro da parte di uno dei genitori, solitamente la madre. I sibling sono comunque ottimisti, circa il 60% dice di passare sempre o spesso momenti di leggerezza e svago in famiglia, mentre la percentuale di queste risposte tra i genitori è del 36,5%. E’ evidente da queste risposte che la presenza di una malattia rara viene vissuta con maggior peso dai genitori. A conferma di ciò, il dato che i genitori sentono, e spesso vivono con senso di colpa, è il fatto di non passare abbastanza tempo esclusivo con i figli non affetti dalla malattia: il 45% di loro vorrebbe avere più tempo a disposizione, mentre solo 21% dei sibling lamenta di non avere mai del tempo dedicato e il 44% di loro dice comunque di poter passare del tempo esclusivo con la madre o il padre.

Per quanto riguarda invece il rapporto con i fratelli affetti da malattia rara, il 41% dei sibling ritiene di essere trattato in maniera equa, mentre solo il 31% dei loro genitori ritiene di riuscire in questo. I loro atteggiamenti nei confronti del fratello/sorella sono principalmente di aiuto (lo dicono il 50% dei sibling e il 60% dei genitori), con reazioni che possono anche essere di iperprotezione o di difesa. Nel 20,6% delle risposte dei genitori, però, emergono anche atteggiamenti di disinteresse da parte dei fratelli, una percezione che non trova riscontro nei sibling. I sentimenti negativi come aggressività, attribuzione della colpa, indifferenza, ostilità, ribellione provati dai sibling per i loro genitori è infine ammesso dal 35% del campione, più di uno su tre. Molto meglio va nel rapporto tra fratelli: il 61.5% dei sibling si sente più libero di esprimere le proprie emozioni con loro che con i genitori (45.8%) e questo indica come la relazione fraterna sia più spontanea nonostante la presenza di una malattia rara. A prevalere tra le emozioni è l’affettuosità (66,3%), anche se accompagnata da tristezza (44,6%), ansia (42,2%) e anche rabbia (37,3%). La peculiarità dell’essere sibling emerge anche se si rivolge lo sguardo al futuro: mentre i genitori dicono per lo più di non voler coinvolgere i sibling nell’accudimento del fratello malato, il 67% di questi sente che è previsto un proprio ruolo in tal senso e il 50% teme il futuro e, pur desiderando una vita autonoma, il 51,4% vorrebbe realizzarla senza allontanarsi troppo dalla famiglia d’origine per poter essere d’aiuto. E se i genitori si dicono contenti per questi progetti di autonomia, in realtà il 58,7% è estremamente preoccupato per l’impatto che l’allontanamento potrebbe avere sul figlio con malattia rara. E’, infine, riconosciuto tanto dai sibling che dai loro genitori che la presenza della malattia rara nella famiglia, al di là delle difficoltà, comporta anche degli aspetti positivi per la crescita del sibling, riconoscendo in un maggiore senso di responsabilità e in una maggiore sensibilità le caratteristiche più sviluppate. Essere sibling insomma può essere dura, ma è un’esperienza che nella vita può essere trasformata in punto di vantaggio.

 

 

RARE SIBLING, LA REALTA’ RACCONTATA DALLE VOCI DEI PROTAGONISTI. LE STORIE

Roma, 21 novembre 2019 – Ad un anno di attività di Rare Sibling – il progetto di Osservatorio Malattie Rare portato avanti grazie alla partnership di ANFFAS Onlus e Comitato Siblings Onlus e con il contributo non condizionato di Pfizer – sono state selezionate 11 storie: racconti di Rare Sibling, o dei loro genitori, che traducono in una realtà quotidiana i dati emersi dalla survey.

 

Durante il convegno di presentazione, che si è tenuto oggi al Ministero, c’è stato tempo per una sola testimonianza dal vivo, quella di Alessia, sorella di Emanuele, ragazzo colpito dalla malattia di Huntington, ma nel volume “La mia storia è quella di mio fratello. Racconti di famiglie e di malattie rare” e sul sito www.raresibling.it si possono trovare tutte le altre in versione integrale. Attraverso alcune frasi estratte da queste storie si può comunque vivere insieme ai Sibling l’impatto della diagnosi, i cambiamenti in famiglia, il rapporto con i genitori e quello con i fratelli e, infine, i desideri ma anche le paure per il futuro.

 

Un esempio di come una diagnosi di malattia rara faccia cambiare priorità e vita familiare lo offre Nicoletta, 59 anni. Viene da una famiglia numerosa e Marco, l’ultimo dei suoi fratelli, affetto da tetraparesi spastica vive con la madre di 87 anni. La madre con Marco, e alcuni fratelli, si sono trasferiti da poco in un quartiere periferico e tranquillo di Roma: “è importante stare tutti vicino perché Marco ha bisogno di assistenza, non riesce a far nulla da solo, neppure a bere un bicchiere d’acqua”. Non molto diverso il racconto di Alessandra, mamma di Giulia e anche di Lorenzo, che oggi ha 11 anni e ha una malattia rara senza nome da quando ne aveva 7: “avevamo comprato la ‘casa per la vita’ e assunto una tata a tempo pieno per lei, non sapevamo che tutto sarebbe cambiato. Oggi Giulia ogni sera cena con la tata, perché noi dobbiamo mettere a letto Lorenzo; non ci sono occasioni in cui si possa andare tutti insieme, perché o io o mio marito dobbiamo rimanere con lui, e stiamo traslocando in una casa adattata alle esigenze di Lorenzo”.

Insieme ai cambiamenti pratici ci sono quelli emotivi: “Dopo la diagnosi sono cambiate molte cose – racconta Edoardo, 19 anni, fratello maggiore di Benedetta affetta da paraparesi spastica – ogni singolo comportamento era influenzato da quello che stava accadendo a Benedetta e in famiglie c’era tristezza, rabbia, mancanza di serenità”.

 

Di fronte a malattie così dirompenti bisogna trovare nuovi equilibri e i sentimenti possono essere ambivalenti. “Ho vissuto tutta la giovinezza pensando di essere terribilmente cattiva perché ero gelosa. Marco veniva accompagnato ovunque, io dovevo organizzarmi da sola” racconta Silvia, sorella maggiore di Marco, nato con una malattia genetica. Diversa invece la situazione di Francesco, fratello di Pasquale, portato via recentemente dalla ceroidolipofuscinosi, che racconta: “i miei genitori hanno sempre cercato di non fare differenze tra noi e di non far pesare il loro malessere, non mi sono mai sentito trascurato e ho ricevuto sempre le attenzioni di cui avevo bisogno”. Simile l’esperienza di Eleonora, la cui sorella maggiore è stata resa cieca dalla retinite pigmentosa, che aggiunge “i miei ci hanno trattato come due persone normali, senza far sentire da meno nessuna delle due: se avrò dei figli voglio comportarmi come loro”. Di tutt’altro segno, invece, l’esperienza di Nicoletta che racconta “Noi fratelli provavamo un’altalena di emozioni, a volte avevamo momenti di rabbia perché sentivamo la mancanza dei nostri genitori: per loro esisteva solo Marco e noi ci sentivamo abbandonati”. 

Verso i fratelli invece prevale un senso di affetto e protezione, che può anche essere eccessivo, come racconta Maria, sorella di Francesca affetta da Atassia di Friedreich, malattia che l’ha costretta in sedia a rotelle: “Io e lei abbiamo un ottimo rapporto, ho sempre cercato di aiutarla e sostenerla ma negli ultimi tempi ho cominciato a mettere qualche paletto, e lei ne ha risentito. Una psicoterapeuta mi ha aiutato a capire che ero troppo disponibile e troppo protettiva: a volte la opprimevo e dell’altro rischiavo di rinunciare a vivere la mia vita. Ho imparato a pensare di più a me, all’inizio Francesca ha sofferto molto, ma col tempo è diventata più indipendente e ha cominciato a pensare che la psicoterapia avrebbe potuto aiutare anche lei. Alle famiglie dovrebbe sempre essere offerto un supporto del genere”. Francesca ha dei limiti, ma è abbastanza autonoma, Marco invece non riesce a far nulla da solo, sarà anche per questo che – racconta Nicoletta – “Noi fratelli provavamo senso di colpa, soprattutto quando uscivamo il sabato o la domenica, ci mettevamo sempre d’accordo perché qualcuno restasse con lui”.

 

Di certo la diversità delle malattie, il grado di autonomia, l’esistenza o meno di un danno cognitivo fanno la differenza in queste storie. “Grazie a Samuele ho imparato tanto sulla disabilità ma ho anche capito che spesso non viviamo al pieno delle nostre potenzialità e ci mettiamo limiti da soli”. Racconta Simone. Ma c’è anche chi si mette un po’ da parte e cerca di cavarsela da sola, come Silvia che dice: “non vorrei disturbare è ancora il mio motto e ‘chi fa da sé fa per tre’ è il mio stile di vita”, e chi fa un po’ più fatica degli altri a trovare la sua autonomia. Come Francesco che ha dovuto lottare con sé stesso per seguire la sua strada: “mi è pesato andare via, all’università – racconta- so che in famiglia è venuto a mancare un aiuto. Ma volevo scappare dal paese, fare esperienze, aprirmi a livello mentale e diventare autonomo”. Anche Edoardo vuole essere indipendente, ma non guarda all’estero: “per ora cerco un lavoro e quando lo avrò trovato andrò a vivere da solo – dice – ma non credo di lasciare l’Italia, non penso ad un distacco definitivo, non voglio allontanarmi troppo dalla mia famiglia”.

Silvia invece è tra quei sibling che guardano al futuro con preoccupazione, perché: “dovrò badare ai miei genitori anziani come se fossi figlia unica, ma in realtà avrò anche un fratello di cui occuparmi”.
Alessia infine ha capito che ci sono affetti che non finiscono mai e ha concluso il suo intervento commuovendo tutti.  “Grazie alla malattia di mio fratello sono diventata una persona più consapevole – ha detto – oggi so che quando l’Huntington comprometterà le funzioni cognitive di Emanuele, e anche la sua autonomia, l’amore resterà per sempre. Noi due non ci separeremo mai”.

 

 

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