SUPERBUG, MICOBATTERI NON TUBERCOLARI SFIDA PER SANITARI E PAZIENTI
LE STORIE DI FRANCESCO, MARTA E LAURA IN UN LIBRO BIANCO PATROCINATO DA AMCLI
Anni di antibiotici dopo una diagnosi difficile, il rischio di ricaduta e antibiotico resistenza, le spese da affrontare: in tre storie la via crucis delle persone affette da NTM-LD I racconti, contenuti nel Libro Bianco, sono stati raccolti da Osservatorio Malattie Rare grazie alla collaborazione dell’Associazione Amantum Roma, 11 novembre 2019 – Oggi i micobatteri non tubercolari rappresentano una sfida per i microbiologi, i clinici e anche per i pazienti, una sfida di cui solo di recente si è tornati a parlare, anche grazie alla pubblicazione avvenuta 2 settimane fa del “Libro bianco sulla malattia polmonare da micobatteri non tubercolari, una malattia rara e orfana” a cura di Osservatorio Malattie Rare e realizzato in stretta collaborazione con l’Associazione Amantum grazie al contributo di INSMED.
Tra le malattie che questi possono causare una delle più terribili è quella che gli esperti chiamano NTM–LD: per loro significa ‘Malattia polmonare da micobatteri non tubercolari’. Per i pazienti queste parole, ignote fino alla diagnosi, significano incertezze e paure, quelle legate all’avere una malattia rara, orfana di terapie efficaci: una via crucis tra difficoltà diagnostiche e terapie antibiotiche lunghissime, tra il rischio di ricaduta e di antibiotico resistenza.
“Chi viene colpito da questo tipo di infezione non ha punti di riferimento e, in preda allo sconforto e al senso di desolazione, si isola sul piano sociale, perché la sola parola tubercolosi fa ancora paura” – spiega Antonella Previdi, presidente dell’associazione Amantum. I racconti dei pazienti contenuti nel libro bianco che Omar ha elaborato insieme all’associazione stessa ne sono una testimonianza.
“Mi è stata proposta una cura composta dalla combinazione di tre antibiotici – racconta Francesco* – mi provoca una forte stanchezza, da fine anno ho dovuto assentarmi dal lavoro e ancora non riesco a riprendere. Non mi sposto con i mezzi pubblici per il timore che anche solo la vicinanza con qualcuno affetto da un banale raffreddore possa farmi ricadere nella malattia. La sola attività fisica che mi consento consiste in brevi passeggiate nei pressi di casa mia”. Significative anche le parole di Marta**: “Avevo appena portato a termine un’esasperante maratona di esami e già mi spiegavano che avrei dovuto ricominciare la trafila. Mi sentivo esausta prima ancora di iniziare e non riuscivo a non pensare alle parole dei medici: la malattia potrebbe ripresentarsi”. E per Marta questa ipotesi si è verificata: “A distanza di qualche mese i sintomi tornarono a presentarsi. Ero in preda al terrore nella sua forma più pura. Ho ripreso la terapia antibiotica in uno stato d’animo di ansia e depressione. Sto vivendo questo momento con la sensazione di essere stata sconfitta dalla malattia”. Ma ad incidere sono anche le spese, come racconta Laura***: “Rimasi in isolamento per una ventina di giorni: credevo di impazzire. Mi trattavano come i malati di tubercolosi ma la mia condizione era diversa. A livello economico non fu mai riconosciuto alcun aiuto e i costi delle cure sono altissimi. L’esenzione dal ticket è prevista soltanto per pochissimi esami ma, ad esempio, il ticket per le TAC viene richiesto: sono stata sottoposta a una decina di TAC di cui una totalmente a mie spese. Poi ci sono state broncoscopie, radiografie ed analisi di laboratorio, le spirometrie e i controlli periodici della vista e dell’udito per monitorare gli eventuali effetti collaterali dei farmaci. Mi auguro che presto sia riconosciuto il peso clinico, sociale ed economico di questa brutta condizione”.
Le parole di Laura, contenute tra i racconti dei pazienti inclusi nel Libro bianco sulla malattia polmonare da micobatteri non tubercolari (NTM-LD), evidenziano un problema che si aggiunge al già grave peso di questa patologia, ossia l’onere economico che i pazienti e le loro famiglie devono sopportare, spesso in aggiunta alla perdita o al rallentamento dell’attività lavorativa. “Il riconoscimento dello status di ‘malattia rara esente’ per la NTM-LD, e dei diritti e delle agevolazioni ad esso connesse, è oggi una delle richieste principali dell’associazione AMANTUM“ conclude Antonella Previdi.
LE STORIE IN VERSIONE INTEGRALE
*L’esperienza di Francesco “Ad inizio settembre dell’anno scorso sono stato colpito da una pesante polmonite che in 24 ore mi ha spossato. Sentivo i polmoni bruciare di dolore ogni qual volta tossivo e faticavo a respirare. Mi recai dal medico per la prescrizione di una cura – pensando di essere stato particolarmente sfortunato perché solitamente i picchi influenzali si raggiungono nei mesi più freddi – e mi infilai a letto con forti accessi di tosse. Ero sicuro si trattasse di un colpo di sfortuna ma, appena due mesi più tardi, ad inizio novembre, mi ritrovai nelle stesse condizioni e, dopo esser tornato a fare visita al medico, mi sentii dire che avevo contratto di nuovo la polmonite. In questo caso, tuttavia, il medico sospettò una tubercolosi e – pur senza avermi sottoposto al test del quantiferon o all’esame microbiologico dell’espettorato – mi sottopose ad una broncoscopia con un prelievo di materiale per gli esami colturali ma, senza attenderne i risultati, mi prescrisse una cura composta da una triplice combinazione di antibiotici. A 17 giorni dall’inizio della terapia con i tre antibiotici fui sottoposto ad una serie di esami ematochimici per verificare l’impatto dei farmaci sulla funzionalità epatica e, al riscontro di un valore dell’alanina aminotransferasi (ALT) giunto a 177 U/L (il limite per l’uomo è 55), il trattamento fu sospeso. A fine dicembre gli esiti dell’esame colturale eseguito sui campioni ottenuti dalla broncoscopia mostrarono un’infezione da Mycobacterium avium complex (MAC). È ridondante affermare che non avevo la minima idea di che cosa fosse questo organismo e che non capivo che tipo di malattia provocasse e, soprattutto, se si trattasse di una forma patologica grave. Mi trovavo in evidente stato di preoccupazione. I medici cercarono di spiegarmi di che cosa si trattava e mi dissero che avrei dovuto prepararmi ad una lunga e difficile terapia, il cui esito non sarebbe stato scontato. Mi è stata proposta una cura composta dalla combinazione di tre antibiotici: rifampicina, azitromicina e l’etambutolo. Visti i miei precedenti, per quest’ultimo farmaco fu necessario che mi sottoponessi ad un procedimento di desensibilizzazione prima dell’assunzione. Finalmente, a fine gennaio iniziai la terapia antibiotica giornaliera contro il Mycobacterium avium complex costituita da tre antibiotici da assumere giornalmente. Ho deciso di farmi seguire da un team multidisciplinare di medici a Torino e, al primo follow-up di controllo, la terapia è sembrata ben tollerata: gli esami del sangue presentavano valori nella norma e le analisi radiologiche indicavano un lento miglioramento del quadro polmonare, anche se la TAC di controllo è prevista a sei mesi dall’inizio della terapia. Il trattamento, tuttavia, non è facile da affrontare: il cocktail di farmaci che sto assumendo da tre mesi (sui 18 previsti dal protocollo standard) mi provoca una forte stanchezza che incide profondamente sulle attività di tutti i giorni: da fine anno ho dovuto assentarmi dal lavoro e ancora non riesco a riprendere l’attività lavorativa. Non mi sposto con i mezzi pubblici per il timore che anche solo la vicinanza con qualcuno affetto da un banale raffreddore possa farmi ricadere nella malattia. La sola attività fisica che mi consento consiste in brevi passeggiate nei pressi di casa mia: sono costantemente affaticato e mi risulta impossibile affrontare qualsiasi altro tipo di sforzo. Sul piano psicologico sto particolarmente male: se mi fermo a pensare che sono passati solo tre mesi dall’inizio della terapia mi sento gelare il sangue nelle vene al pensiero che me ne mancano ancora 15 da affrontare in queste condizioni – se non peggiori. E al termine di questo orribile periodo potrei non essere ancora definitivamente guarito”.
**L’esperienza di Marta “Un forte colpo di tosse e sul fazzoletto che avevo usato per coprirmi la bocca notai delle tracce di sangue. In gergo medico questo sintomo viene definito emottisi. È così che tutto è cominciato, un mattino di circa tre anni fa. Mi sono profondamente spaventata alla vista del sangue. Pensieri lugubri sono calati all’improvviso sulla mia mente senza lascarmi scampo: ero forse affetta da un tumore al polmone? Avevo letto che si tratta di una delle peggiori forme tumorali da cui si guarisce molto raramente. Pensavo di trovarmi di fronte alla fine della mia esistenza. Iniziai un lungo percorso fatto di analisi ed esami culminato con la criobiopsia. Alla fine, dopo otto TAC, la PET e ripetute broncoscopie eseguite nel corso di tanti mesi di angoscia, giunsi alla diagnosi di un’infezione da NTM. Mycobacterium avium complex (MAC), questo era il nome scientifico dell’organismo che mi stava rovinando la vita. Ricordo di essermi sentita sollevata quando i medici dissero che non si trattava di un tumore al polmone ma di un’infezione batterica. Tuttavia mi ero rilassata troppo presto: i medici dissero che si tratta di un organismo piuttosto difficile da eradicare. Ci vogliono diversi antibiotici e non è detto che al termine della terapia il risultato sia garantito. Inoltre, aggiunsero che si tratta di una patologia che in molti casi può riapparire anche dopo il trattamento e che era opportuno iniziare quanto prima la terapia, monitorandone gli effetti per decidere al meglio come proseguire. Mi fecero chiaramente capire che dovevo prepararmi ad un lungo cammino terapeutico. Appreso tutto ciò il senso di sollievo provato alla notizia di non essere affetta da un tumore al polmone si dileguò all’istante. Continuavo a chiedermi come fosse stato possibile che, dopo tutti gli esami a cui ero stata sottoposta nessuno avesse sospettato la mia malattia. Era davvero così complicata da diagnosticare? Le vecchie radiografie al torace mostravano già degli addensamenti ma non era stato considerato il sospetto di una micobatteriosi non-tubercolare dai medici di base a cui mi ero rivolta perché non presentavo i sintomi tipici della malattia. Alla fine decisi di non pensarci e di concentrarmi sulla terapia che mi fu prescritta e che consisteva in un cocktail di antibiotici composto da etambutolo, rifampicina e azitromicina che avrei dovuto assumere per un periodo di un anno, al termine del quale avrei dovuto continuare per altri due mesi solo con l’azitromicina. Fui sconvolta dall’idea di dover assumere una triplice terapia antibiotica per così tanto tempo. Non mi era mai capitato in precedenza e temevo gli effetti collaterali. Inoltre, nell’arco dell’anno di trattamento avrei dovuto sottopormi ad altri esami di monitoraggio. Ancora esami del sangue, altre radiografie. Avevo appena portato a termine un’esasperante maratona di esami e già mi spiegavano che avrei dovuto ricominciare la trafila. Mi sentivo esausta prima ancora di iniziare e non riuscivo a non pensare alle parole dei medici: la malattia potrebbe ripresentarsi. A sei mesi dal primo controllo durante il quale fui sottoposta a broncoscopia, sono risultata negativa al micobatterio ma ho continuato la terapia completa per altri sei mesi. La combinazione di antibiotici non è stata semplice da sopportare. Gli effetti collaterali furono pesanti. Perciò l’eradicazione della malattia fu una bella notizia perché speravo davvero di avercela fatta. A distanza di qualche mese, tuttavia, i sintomi tornarono a presentarsi. Ero in preda al terrore nella sua forma più pura. Temevo – anzi ero certa – che avrei dovuto rituffarmi in quell’incubo di esami senza fine, tossendo e sputando sangue nel più completo isolamento perché questa malattia è capace di fare terra bruciata di ogni contatto sociale. Al momento, l’analisi delle immagini della TAC e l’esame microscopico del broncolavaggio sembrano indicare la ripresa dell’infezione da Mycobacterium avium complex ma i medici attendono l’esito dell’esame colturale che, però, ha tempi più lunghi. Nel frattempo ho ripreso la terapia antibiotica in uno stato d’animo di ansia e depressione. Sto vivendo questo momento con la sensazione di essere stata sconfitta dalla malattia e nel timore degli effetti collaterali che ho già sperimentato. Uno su tutti è proprio l’innalzamento della pressione sanguigna oculare che mi obbliga ad assumere un farmaco specifico. Un altro farmaco in più”.
***L’esperienza di Laura “La mia storia ha inizio nel maggio del 2008. Pochi giorni dopo la morte di mio padre, dopo anni alquanto difficili. Ho cominciato con qualche linea di febbre e tanta stanchezza. Dopo vari tentativi con antibiotici il mio medico curante mi prescrisse una radiografia urgente. Ricordo con lucidità la corsa in ospedale ad Albenga, la lunga attesa per fare la lastra, la consegna della busta sigillata da far avere al mio dottore. Ripercorrendo la via del ritorno verso lo studio del medico tutto ciò che avevo visto centinaia di volte dal finestrino lungo la strada aveva assunto una dimensione diversa perché nel cuore avevo il terrore di trovarmi di fronte a qualcosa di più grande di me. Il dottore guardò le lastre attentamente per un tempo che a me parve infinito, poi disse che avrei fatto bene ad andare in pronto soccorso. Gli chiesi immediatamente se poteva trattarsi di qualcosa di molto grave ma rispose che, secondo lui, non era così e a quel punto lo abbracciai piangendo. Ho preparato le mie cose e sono andata al pronto soccorso di Pietra Ligure e di nuovo sono stata visitata e mi sono state eseguite altre radiografie. Alcuni dottori dissero di non aver riscontrato nulla di particolare ma fui comunque ricoverata e sottoposta ad accertamenti: esami del sangue, test cutaneo per la tubercolosi e, per finire, una broncoscopia oltre naturalmente alla TAC. Da tutti questi esami emerse che c’era una specie di buco nel polmone sinistro del diametro di 3 cm. Iniziai una cura di antibiotici particolarmente pesante sia per flebo che in compresse. Dopo circa 20 giorni fui dimessa con una diagnosi di broncopolmonite ascessuarizzata e l’obbligo di controlli mensili. I medici dissero di non poter andare oltre con gli antibiotici. Mensilmente facevo analisi e controlli e venivo visitata dai medici del reparto di pneumologia. Ad agosto mi presentai in reparto e il dottore mi diede la diagnosi definitiva, dicendo che era arrivato l’esito delle analisi colturali e che si trattava di una micobatteriosi, un’infezione da Mycobacterium avium complex (MAC). Il dottore aggiunse che si trattava della ‘sorella povera’ della tubercolosi ma che sarei guarita. Nel frattempo, mi fu recapitata una lettera dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) che invitava tutti i miei parenti ad eseguire un controllo per verificare se fossero stati contagiati. La stessa cosa accade anche ai colleghi di lavoro. Ebbi la sensazione di essere un’appestata! Il sollievo di sapere che la malattia poteva essere curata fu scalzato dalla sensazione di essere guardata come una sorta di untrice da amici, colleghi e parenti. Iniziai la terapia con etambutolo, claritromicina, rifampicina che proseguì per un periodo di 10 mesi, al termine di cui, nel maggio del 2009, il medico che mi seguiva in reparto decise che avrei potuto interrompere. Era passato un anno dall’esordio dei primi sintomi. A gennaio 2010 una mattina, senza preavviso cominciai a tossire e a sputare sangue. Fui colta dalla sensazione devastante di essere ricaduta nella malattia. All’improvviso le gambe non mi sorressero più e la paura mi gelò il sangue nelle vene. Fui di nuovo costretta a tornare al pronto soccorso ma, questa volta, fui ricoverata in isolamento e dovetti tornare ad eseguire TAC e broncoscopia. L’emottisi non si arrestava ed ero preoccupata e impaurita. Le lastre evidenziarono di nuovo quella caverna nei polmoni che i medici avevano visto la prima volta ma stavolta sembrava anche più grande. Ripresi la cura. Rimasi in isolamento per una ventina di giorni: credevo di impazzire, non mangiavo più e camminavo su e giù per la camera come una pazza. Alla fine fui dimessa e, come già accaduto l’anno prima, ricevetti le lettere dell’ASL. Mi trattavano come i malati di tubercolosi ma la mia condizione era diversa. Inoltre, a livello economico non fu mai riconosciuto alcun aiuto per affrontare le spese mediche e i costi delle cure sono altissimi. L’esenzione dal ticket è prevista soltanto per pochissimi esami ma, ad esempio, il ticket per le TAC viene richiesto: nel tempo sono stata sottoposta a una decina di TAC di cui una totalmente a mie spese. Una volta che fu chiaro che la malattia era tornata a farsi viva ripresi la cura che continuò per ben 18 mesi. Mi presentavo in ospedale mensilmente per le analisi e venivo visitata dai medici. Per tutto quel lungo periodo non ho mai avuto una persona alla quale fare riferimento. I dottori si alternavano e ogni volta che mi recavo in visita all’ospedale mi trovavo davanti un viso nuovo. Sembravano esserci dei miglioramenti ma la malattia non guariva del tutto. Al termine dei 18 mesi, nell’agosto 2011, la dottoressa che mi visitò, probabilmente sulla base dell’esito dell’ennesima TAC, mi suggerì un intervento chirurgico. A questo punto, insieme a mio marito, decisi di sentire un altro parere medico e, grazie all’interessamento dei miei nipoti, partii per Sondalo, dove giunsi a settembre 2011 con una diagnosi di recidiva da MAC, stilata in seguito all’esame colturale eseguito su materiale prelevato in sede di broncoscopia. A gennaio del 2012 fui ricoverata a Sondalo nel reparto di Bronco-Pneumo-Tisiologia. Mi sentivo in buone mani e più serena nonostante la preoccupazione per le mie condizioni. Ripresi per la terza volta la terapia, stavolta con un cocktail di antibiotici a base di amikacina, clofazimina, rifampicina e claritromicina e fui dimessa poco dopo ma, considerata la terza recidiva da MAC, dopo un consulto con il chirurgo toracico, mi fu proposto un intervento chirurgico di segmentectomia tipica della lingula al quale mi sottoposi con convinzione e sicurezza nel mese di febbraio di quell’anno. Fui dimessa poco dopo e continuai la terapia fino alla fine del 2013, cioè per un periodo di circa 24 mesi. Da allora sono passati 5 anni ed io non sono ancora sicura di essere guarita. Gli esami colturali dell’espettorato eseguiti a Sondalo sono risultati negativi ma mi fu comunque suggerito di eseguirne una terza in Liguria, per risparmiarmi il lungo viaggio fino Sondalo. Sono passati tre anni e devo ancora conoscere l’esito di questo esame dal momento che il contenitore con il mio espettorato pare essere misteriosamente scomparso. Ho deciso che qualsiasi futuro controllo dovrà essere eseguito soltanto in un centro specializzato. In questi cinque anni sono stata abbastanza bene anche se sono stata colta da ripetute bronchiti, una polmonite e qualche episodio di emissione, con la tosse, di tracce di sangue frammisto a catarro (emoftoe), accompagnati ogni volta da tanta apprensione. Ovviamente essendo affetta da molte bronchiectasie, dovute in gran parte alla malattia, queste mi causano ripetute infezioni, pertanto mi trovo costretta ad assumere con una certa frequenza forti dosi di antibiotici. Nella mia lunga storia clinica non sono mancati momenti di grande sconforto e depressione, per i quali sono ricorsa ad ansiolitici e antidepressivi che prendo tutt’ora. Oltre alle innumerevoli TAC, broncoscopie, radiografie ed analisi di laboratorio ho dovuto eseguire spirometrie e sottopormi a controlli periodici della vista e dell’udito per monitorare gli eventuali effetti collaterali dei farmaci. Ansia, paure e stanchezza cronica sono una costante di questa malattia così subdola ma grazie all’aiuto e al sostegno dei famigliari e degli amici sono riuscita a trovare una specie di equilibrio e mi auguro che presto sia riconosciuto il peso clinico, sociale ed economico di questa brutta condizione”. |